IL CJANT DES AGANIS È UN INVITO A RICERCARE LE PROPRIE RADICI

È nata “Contemporanie”, una collana di opere in lingua friulana, con traduzione integrale italiana, firmata da autori del nostro tempo per Nardini Editore. Una doppia versione linguistica che, sgorgando idealmente da una terra, si irradia fuori e oltre sé.

Inaugura il progetto “Il cjant des Aganis” (Il canto delle Aganis), primo romanzo in lingua friulana di Claudio Aita, studioso di storia medievale e della Chiesa, autore di thriller e gialli. Non è scritto in prima persona, ma nel protagonista affamato di radici c’è molto di Aita, originario di Buja, figlio di emigranti friulani, “un immigrato” per i bambini svizzeri. Era in Friuli il 6 maggio 1976, data che squarcia in due la sua esistenza. Vive da anni a Firenze e conosce bene l’andare e il tornare, il vicino e il lontano nel tempo e nello spazio, le presenze che riempiono partenze e dipartite.

Le pagine sono tenute assieme dal tema del “ritorno”, che è svolta, far pace col passato e riappropriarsi del tempo perso, bisogno di sentirsi parte di una cultura popolare “bevude insiemi cul lat di mari” (bevuta insieme al latte materno) e di farsi salvare dalle proprie origini. Chiamato dal canto ammaliatore delle Aganis, ninfe bellissime, sensuali, incantatrici e crudeli, torna ai luoghi d’infanzia, a una terra magica di spiriti e leggende “che non voleva saperne di morire”, di cui ritrova il respiro, l’essenza: la pieve, la fortificazione, il colle a tre punte del Monte di Buja, il bosco e lo “spolert” che considera compagno e amico, generoso dispensatore di calore per la casa e su cui cucinare polenta e frico o far scoppiettare un po’ di “sioris” (popcorn), accompagnando il tutto con un “tai”. Eliseo, libraio, scrittore, editor, torna perché ha bisogno di ossigeno, di faticare ed essere tutt’uno col respiro antico della terra. Sistema una casetta e in fondo anche la sua vita. Cosa si lascia alle spalle è svelato tra i capitoli, intrecciandosi con l’esistenza di Rita, portatrice di un peso di silenzi e chiacchere. Si trovano, si somigliano. Ma le risposte stanno nel vento che, come le leggende, attraversa generazioni e dura perché “nulla è mai definitivamente morto” anche se il tempo “ti si sfruçone tra lis pupilis dai dêts” (ti si sfarina tar i polpastrelli). Qualunque cosa succeda, la vita va presa giorno per giorno perché è una clessidra che fa passare un solo granello alla volta.

Ritorno è anche la scelta della scrittura in lingua friulana, che amplifica suoni, rumori, sensazioni, nostalgie, sentimenti di una terra che ha il suo canto nella “marilenghe” e nelle Aganis. Ed è, per l’autore, un ripercorrere anche la formazione, in particolare l’incontro con un romanzo ambientato proprio in quelle stesse colline, “Prime di sere” di Carlo Sgorlon, dal quale, Claudio Aita ha ripreso i nomi dei protagonisti, Eliseo e Rita.

Martina Delpiccolo

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