Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra
e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre.
Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra
e se ne addolorò in cuor suo.
(Genesi 6, 5-6)
e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre.
Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra
e se ne addolorò in cuor suo.
(Genesi 6, 5-6)
L’asfalto del vialetto era sepolto sotto un velo di cartacce e foglie morte. Un uomo dalla pelle scura se ne stava appoggiato alla staccionata, gettando sassolini nelle acque melmose dell’Arno. Ai suoi piedi la solita paccottiglia di oggetti da due soldi. Poco più in là una donna sculettava con indosso una tuta da jogging e un piumino griffato. In mano reggeva un guinzaglio all’altro lato del quale un grumo di pelo a forma di cane si era fermato a depositare i suoi bisogni sul manto erboso. Geremia non aveva mai capito cosa inducesse così tanta gente a buttare via soldi, e non pochi, per portarsi a casa una creatura incapace di qualsiasi attività che non fosse quella di ingozzarsi di cibo e sparpagliare merda e acido urico in giro. Considerava i cani degli esseri talmente privi di dignità da ridursi ad accettare passivamente di esser trattati come giocattoli o accessori di moda. Come accadeva spesso, anche la distinta signora se ne andò con il mento all’insù e gli occhi semichiusi, da diva navigata, lasciando in bella vista il ricordo della sua bestiolina.


Un sorso di vino. Un altro ancora per ricacciare in gola una bestemmia. Non gliene importava più niente del suo stato di salute, del suo aspetto fisico, della città di merda che si srotolava attorno a quel fiume che scorreva a soli pochi passi da lui.
Si passò il palmo della mano sulle guance. Da quanto tempo non si radeva? Ad occhio e croce, da una settimana almeno, forse due. Non se lo ricordava più. Doveva avere un aspetto terribile, da barbone consumato. E il suo abbigliamento trasandato non testimoniava certo il contrario. Appoggiò la bottiglia per terra e si accese una sigaretta.
«Posso sedermi?».
Geremia squadrò la figura in giacca e cravatta davanti a lui. «Se non può farne a meno…» rispose acido. Poi corresse il tiro: «Prego, in fin dei conti questa panchina è pubblica».
Dopo aver asciugato il suo posto con il fazzoletto, l’uomo si mise a sedere, la mano appoggiata sul manico dell’ombrello come si fosse trattato di un bastone da passeggio. I due rimasero in silenzio, osservando gli esemplari di umanità che sfilavano davanti ai loro occhi. Dopo un po’, il nuovo venuto girò il capo verso di lui, con un sorriso che Geremia trovò irritante: «Non è un po’ presto per ubriacarsi?».
«Ha ragione. La prego di perdonarmi» rispose l’altro. Poi, senza scomporsi, aggiunse: «Le cose non vanno proprio così bene, vero dottor Solaris?».
Sentendosi chiamare, trasalì: «Come fa a conoscere il mio nome? Chi è lei e che cosa diavolo vuole?».
«So che negli ultimi tempi», continuò l’altro, «lei non ha quasi più ricevuto proposte di lavoro nel settore dell’editoria nonostante, se lo lasci dire, le sue indubbie competenze in materia».
Geremia rimase a bocca aperta, incapace di ribattere. Effetto anche dell’alcol, indubbiamente, che gli rallentava i riflessi.
«Sono qui per farle una proposta», proseguì l’uomo vestito elegantemente. «Una di quelle che potrebbero, mi creda, cambiare la sua vita».
«Mi perdoni, ma non capisco», balbettò Geremia, sforzandosi inutilmente di apparire lucido.
«C’è qualcuno che ha una grande stima nelle sue capacità, nonostante tutto, in considerazione di quello che lei ha dimostrato in passato. E che è in grado di ricompensarla profumatamente».
«Ma per fare cosa? E poi, chi…?».
«Ascolti, dottor Solaris», lo interruppe l’altro gettando uno sguardo severo alla bottiglia, «se vuole saperne di più venga nel mio studio domani mattina, quando avrà la mente, diciamo, più libera dalle preoccupazioni».
Ciò detto gli porse un biglietto da visita. «Ovviamente, non è obbligato a farlo, ma fossi in lei, ci verrei. Arrivederci. Le auguro una buona giornata».
Detto questo, si alzò e, senza aggiungere altro, se ne andò da dove era venuto, lasciando Geremia completamente inebetito. Osservò il rettangolo di carta. I caratteri oscillavano ma riuscì ugualmente a leggerlo:
Giovanni Enrico Ponti. Avvocato
Via Domenico da Malmantile, 13
50122 Firenze
Via Domenico da Malmantile, 13
50122 Firenze

Tutto tornava alla terra, prima o poi. Anche il Chianti non poteva che sottostare a questa legge divina e immutabile. Requiescat in pace. Amen.
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